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malattie autoimmuni del sistema nervoso
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Malattie autoimmuni del sistema nervoso: quando i piccoli segnali non vanno ignorati

A cura della Dott.ssa Eleonora Galosi, Neurologa presso l’Aventino Medical Group, Roma Comprendere l’inizio subdolo delle malattie autoimmuni neurologiche “Spesso le malattie autoimmuni del sistema nervoso iniziano in modo subdolo,” spiega la neurologa. Si presentano con disturbi lievi, difficili da interpretare: stanchezza persistente, debolezza muscolare, formicolii, minime difficoltà di coordinazione, disturbi dell’equilibro, impaccio nei movimenti. Sintomi spesso sottovalutati o attribuiti allo stress. Eppure, queste manifestazioni possono essere i primi segnali di patologie autoimmuni neurologiche, come la sclerosi multipla, encefalomieliti e neuropatie autoimmuni. Riconoscerli tempestivamente consente di attivare trattamenti efficaci e prevenire la progressione della malattia. Che cosa sono le malattie autoimmuni del sistema nervoso? Le malattie autoimmuni neurologiche sono condizioni in cui il sistema immunitario aggredisce erroneamente le cellule nervose o le loro guaine protettive (mielina). Il risultato è un processo infiammatorio acuto o cronico che compromette la trasmissione del segnale nervoso a diversi livelli, dando origine a una varietà di sintomi neurologici. Le più note sono la sclerosi multipla, la neuromielite ottica, la sindrome di Guillain-Barré e la miastenia gravis. Ogni patologia ha un decorso differente e può colpire soggetti di età e profili clinici diversi, inclusi giovani adulti. L’importanza della diagnosi precoce Una diagnosi tempestiva è il primo strumento per contenere i danni neurologici e migliorare la qualità della vita. I protocolli diagnostici si basano su un’accurata valutazione clinica, risonanza magnetica cerebrale, test neurofisiologici e, talora, procedure più invasive come l’analisi del liquido cerebrospinale mediante rachicentesi. Intervenire nelle fasi iniziali consente di ridurre le ricadute, rallentare la progressione e personalizzare la terapia. È fondamentale rivolgersi a centri specializzati con neurologi esperti, capaci di riconoscere anche le forme meno evidenti della malattia. È fondamentale rivolgersi a centri specializzati, dove un approccio multidisciplinare integrato permette di affrontare queste patologie complesse con la massima sicurezza e coerenza delle cure. Terapie attuali e nuove frontiere Oggi le terapie per le malattie autoimmuni neurologiche comprendono farmaci immunomodulanti o immunosoppressori, corticosteroidi, anticorpi monoclonali e trattamenti sintomatici di supporto. La scelta terapeutica dipende dalla diagnosi, dallo stadio della malattia e dalle caratteristiche del paziente. Negli ultimi anni la ricerca ha aperto nuove frontiere: farmaci più selettivi, trattamenti personalizzati basati su marcatori immunologici, nonché approcci di medicina rigenerativa. Anche la riabilitazione neurologica gioca un ruolo fondamentale nel migliorare la funzionalità residua e l’autonomia del paziente. Vivere con una malattia autoimmune neurologica Affrontare una diagnosi di malattia autoimmune neurologica significa riorganizzare la propria quotidianità. Il supporto psicologico, la gestione dello stress, una dieta equilibrata e l’attività fisica mirata possono contribuire a mantenere un buon equilibrio psico-fisico. La presa in carico multidisciplinare – neurologo, fisioterapista, psicologo, nutrizionista – è oggi considerata parte integrante della terapia. Anche il contesto familiare e sociale ha un ruolo importante: conoscere la malattia aiuta a fronteggiarla con maggiore serenità. Conclusione Individuare precocemente questi disturbi apre la strada a percorsi di cura più mirati e a prospettive di vita migliori. Continuare a informarsi, confrontarsi con specialisti e restare attenti ai segnali del proprio corpo significa tenere aperta la possibilità di gestire la malattia in modo sempre più efficace. Prenditi cura del tuo sistema nervosoRivolgiti a specialisti qualificati per un percorso di salute personalizzato e multidisciplinare.

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L’infermiere a domicilio: un ruolo essenziale per i pazienti con malattie autoimmuni a Roma

A cura del Dott. Nicola Verdirame, Infermiere presso l’Aventino Medical Group, Roma. Introduzione: un servizio concreto per bisogni complessi Le malattie autoimmuni, come artrite reumatoide, lupus eritematoso sistemico e sclerosi multipla, richiedono cure continuative e procedure anche delicate. L’assistenza infermieristica a domicilio, che svolgo per l’Aventino Medical Group a Roma, è pensata per garantire ai pazienti un supporto tecnico qualificato direttamente a casa. L’obiettivo è semplificare la gestione delle terapie, ridurre la necessità di spostamenti e assicurare la continuità delle cure nel rispetto delle indicazioni mediche. Servizi infermieristici a domicilio: interventi completi e accurati Dal trattamento ordinario alle procedure più specialistiche L’attività quotidiana comprende infusioni, somministrazioni di terapie biologiche, prelievi, medicazioni avanzate e gestione di cateteri. Tutti gli interventi vengono effettuati seguendo le indicazioni dei medici dell’Aventino Medical Group e le linee guida dell’Istituto Superiore di Sanità e dell’OMS. Offrire queste prestazioni a domicilio permette di risparmiare tempo, ridurre lo stress degli spostamenti e mantenere una continuità terapeutica anche in situazioni cliniche complesse. Coordinamento con gli specialisti coinvolti Lavoro di équipe quando necessario Quando il quadro clinico lo richiede, l’attività infermieristica a domicilio viene integrata con le indicazioni dei diversi specialisti che seguono il paziente: reumatologi, neurologi, internisti e altri professionisti del nostro poliambulatorio. Questo coordinamento consente di eseguire ogni procedura in modo conforme al piano terapeutico e di garantire la massima sicurezza e coerenza delle cure. L’infermiere come formatore del caregiver L’efficacia di questa figura si manifesta pienamente nella sua capacità di trasferire conoscenze e abilità pratiche al caregiver. L’infermiere insegna al familiare a: Questo processo di formazione non solo solleva il caregiver da un carico emotivo e pratico, ma lo rende anche un partecipante attivo e consapevole nel percorso di cura. Il caregiver, sentendosi più competente e sicuro, può fornire un’assistenza di qualità superiore, contribuendo significativamente al benessere e alla qualità della vita del paziente. L’infermiere a domicilio diventa così un punto di riferimento, un alleato prezioso per l’intera famiglia, garantendo una continuità assistenziale che va oltre la semplice prestazione professionale. Un servizio che rende più agevole la gestione della malattia Competenza tecnica al centro dell’assistenza L’assistenza a domicilio non si limita a evitare spostamenti: è una modalità organizzativa che consente di ricevere cure specialistiche in tempi rapidi e nel pieno rispetto delle prescrizioni mediche. Interventi tecnici eseguiti con attenzione e precisione contribuiscono a rendere la gestione delle patologie autoimmuni più semplice e più sicura per i pazienti e per le loro famiglie. Conclusione L’assistenza infermieristica a domicilio rappresenta un supporto fondamentale per chi deve affrontare terapie complesse e continuative. Attraverso il mio lavoro per l’Aventino Medical Group è possibile ricevere prestazioni qualificate, comprese quelle più delicate, direttamente presso la propria abitazione, in coordinamento con gli specialisti coinvolti nella cura. 👉 Prenota un servizio infermieristico a domicilio per valutare insieme il percorso più adatto alle tue esigenze.

malattie reumatologice autoimmuni
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Malattie reumatologiche autoimmuni: comprendere e affrontare una sfida complessa

A cura del Dott. Pier Giacomo Cerasuolo, Reumatologo presso l’Aventino Medical Group, Roma Le malattie reumatologiche autoimmuni rappresentano una delle sfide più complesse della pratica clinica moderna. Sono condizioni in cui il sistema immunitario, alterando i meccanismi di riconoscimento del “self”, attacca tessuti sani provocando infiammazione cronica e potenziali danni permanenti. Le articolazioni sono spesso coinvolte, ma non è raro osservare anche manifestazioni cutanee, neurologiche o interessamento di organi interni. La diagnosi precoce e un trattamento mirato possono oggi modificare in modo significativo la storia naturale di queste patologie, preservando la funzionalità articolare e migliorando la qualità di vita. Un caso che aiuta a capire: artrite reumatoide in fase iniziale Qualche tempo fa ho seguito una giovane donna, che qui chiamerò Laura, di 35 anni. Si presentava con dolori e tumefazioni alle piccole articolazioni delle mani, rigidità mattutina della durata superiore a un’ora e una stanchezza profonda che comprometteva la sua routine quotidiana. Gli esami di laboratorio mostravano positività per il fattore reumatoide e per gli anticorpi anti-CCP, associati a indici infiammatori elevati. Abbiamo avviato rapidamente una terapia con un DMARD convenzionale (Disease-Modifying Anti-Rheumatic Drugs, farmaci antireumatici modificanti la malattia), integrata da un programma di fisioterapia dolce e da consigli alimentari mirati a ridurre l’infiammazione sistemica. Dopo pochi mesi, i controlli hanno evidenziato una remissione clinica: la tumefazione articolare si era risolta e Laura aveva ripreso la sua attività lavorativa e le sue passioni quotidiane, dimostrando quanto sia cruciale non ignorare i primi sintomi, anche se aspecifici. Un’altra prospettiva: lupus eritematoso sistemico Un altro caso significativo riguarda un uomo di 28 anni, che qui chiamerò Marco, giunto all’osservazione per febbricola persistente, dolori articolari migranti e comparsa di un eritema a farfalla sul volto dopo esposizione solare. Gli esami ematochimici hanno evidenziato positività per anticorpi anti-nucleo (ANA) e anti-DNA nativo, oltre a una riduzione del complemento sierico. In questo caso, oltre al controllo dei sintomi articolari, era essenziale prevenire il coinvolgimento di possibili organi bersaglio come reni e cuore. È stato impostato un trattamento con antimalarici di sintesi, corticosteroidi a basso dosaggio e, successivamente, un’immunosoppressione mirata con farmaci biotecnologici. L’approccio multidisciplinare con nefrologo e dermatologo ha permesso di stabilizzare il quadro clinico e di prevenire complicanze gravi, consentendo a Marco di proseguire gli studi universitari con una malattia sotto controllo. Caratteristiche comuni e inquadramento diagnostico L’artrite reumatoide e il lupus rappresentano solo due esempi di malattie reumatologiche autoimmuni. Altri quadri comprendono sclerodermia, sindrome di Sjögren e spondiloartriti. Queste patologie condividono l’importanza di un inquadramento clinico attento, che integri i sintomi riferiti dal paziente, i segni obiettivi rilevati alla visita e gli esami di supporto: markers infiammatori, autoanticorpi specifici, imaging avanzato. Identificare precocemente l’attività di malattia è determinante per intervenire prima che si instaurino danni irreversibili. Terapie innovative e approccio integrato La terapia reumatologica è oggi orientata verso il principio del “treat to target”: stabilire un obiettivo terapeutico (remissione o bassa attività di malattia) e monitorare costantemente i risultati, adattando la terapia in base alla risposta. I DMARDs convenzionali, le nuove molecole biologiche e le small molecules hanno ampliato le opzioni di trattamento, consentendo di personalizzare l’approccio in base alle caratteristiche del paziente e della patologia. A ciò si affiancano interventi non farmacologici fondamentali: programmi di esercizio fisico adattato, supporto nutrizionale per ridurre l’infiammazione sistemica, counseling psicologico per affrontare lo stress cronico che spesso accompagna queste condizioni. Prospettive attuali e qualità della vita  L’esperienza clinica conferma quanto sia essenziale un percorso di cura condiviso, con rivalutazioni periodiche e dialogo costante tra medico e paziente. Le linee guida internazionali sottolineano l’importanza di un approccio multidisciplinare, che valorizzi tutte le dimensioni della persona e non solo la patologia. Oggi, grazie ai progressi della ricerca e alle terapie mirate, molte persone con malattie reumatologiche autoimmuni conducono una vita attiva e autonoma. La sfida resta impegnativa, ma le prospettive sono nettamente migliorate rispetto al passato. ✨ Se convivete con una malattia reumatologica o sospettate di poterne avere i primi sintomi, parlarne con uno specialista può fare la differenza. Presso l’Aventino Medical Group, il nostro approccio multidisciplinare mira a un percorso di cura attento e personalizzato.

il ruolo dell'allergologa
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Il ruolo dell’allergologa immunologa nelle malattie autoimmuni

A cura della Dott.ssa Megon Bresciani, Allergologa Immunologa presso l’Aventino Medical Group, Roma. Comprendere il sistema immunitario e le sue deviazioni Le malattie autoimmuni rappresentano un ambito complesso e affascinante della medicina moderna. In queste circostanze, il sistema immunitario – normalmente deputato a difendere l’organismo da virus, batteri e altre minacce esterne – commette un errore di identificazione e attacca tessuti sani. Questo fenomeno, noto come perdita della tolleranza immunologica, è alla base di patologie diffuse come il lupus eritematoso sistemico, l’artrite reumatoide e la tiroidite di Hashimoto. Studi pubblicati su riviste di riferimento internazionale, tra cui The Lancet e Nature Reviews Immunology, dimostrano che una diagnosi tempestiva e mirata può rallentare significativamente la progressione della malattia. L’allergologa immunologa svolge un ruolo chiave nell’individuare queste alterazioni immunitarie e nell’impostare un percorso diagnostico accurato, in stretta collaborazione con altre figure specialistiche. Diagnosi precoce e marcatori immunologici Un aspetto cruciale nella gestione delle malattie autoimmuni è l’identificazione di biomarcatori specifici che segnalino un’alterazione della risposta immunitaria. Tali marcatori, rilevabili attraverso esami del sangue mirati o immagini radiologiche, consentono di intervenire prima che il danno ai tessuti diventi irreversibile. L’allergologa immunologa, a secondo dei distretti interessati dalla patologia autoimmune, lavora fianco a fianco di reumatologi, dermatologi, endocrinologi, neurologi e anche nutrizionisti il cui coinvolgimento è raccomandabile nella gestione dell’infiammazione. Disporre di queste competenze all’interno di un unico centro facilita la diagnosi mentre una valutazione condivisa e multidisciplinare favorisce terapie efficaci e all’avanguardia.  Approcci terapeutici e personalizzazione delle cure Una volta individuati i meccanismi immunitari coinvolti, l’obiettivo diventa modulare in modo mirato la risposta del sistema immunitario. Le opzioni comprendono farmaci immunosoppressori, terapie biologiche di nuova generazione e protocolli innovativi validati da studi clinici. L’allergologa immunologa prende inoltre in considerazione eventuali comorbilità allergiche, come riniti o dermatiti, che possono complicare il quadro clinico e richiedere interventi aggiuntivi. Ridurre l’infiammazione, preservare la funzionalità degli organi e migliorare la qualità di vita del paziente rappresentano traguardi concreti di questo lavoro integrato. Conclusioni Il ruolo dell’allergologa immunologa nelle malattie autoimmuni è quindi centrale: non solo nell’inquadrare correttamente la patologia, ma anche nel coordinare l’apporto di più specialisti per definire strategie terapeutiche personalizzate e prevenire danni futuri. Affidarsi a professionisti esperti e a un team multidisciplinare significa garantire una gestione completa, sempre aggiornata alle evidenze scientifiche più recenti. Scopri di più sulla nostra pagina dedicata all’Allergologia dell’Aventino Medical Group

alimentazione e malattie reumatiche
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Alimentazione e Malattie Reumatiche: nutrizione strategica per ridurre l’infiammazione

A cura della Prof.ssa Manon Khazrai, nutrizionista presso l’Aventino Medical Group, Roma Introduzione: il ruolo della dieta nelle patologie reumatiche Le malattie reumatiche sono condizioni cronico‑infiammatorie che interessano articolazioni, muscoli e tessuti connettivi. Accanto alle terapie farmacologiche, numerosi studi evidenziano come una corretta alimentazione possa contribuire a modulare i processi infiammatori e a migliorare il quadro clinico complessivo.  Un regime alimentare equilibrato e ben strutturato aiuta a sostenere le terapie, a preservare la funzionalità articolare e a favorire uno stato nutrizionale ottimale. Dieta mediterranea e gestione dell’infiammazione Tra i modelli alimentari più indicati per i pazienti affetti da patologie reumatiche, la dieta mediterranea risulta essere uno dei più efficaci. Caratterizzata da un ampio consumo di frutta, verdura, legumi, cereali integrali, pesce azzurro e olio extravergine di oliva, questa dieta è associata a una riduzione dei marker infiammatori e a un miglioramento della qualità di vita.  L’adozione di questo schema alimentare, in associazione alle cure mediche, può contribuire a ridurre rigidità articolare, dolore e sintomi sistemici, promuovendo al contempo una migliore risposta alle terapie. Nutrienti chiave per il paziente reumatico Alcuni nutrienti svolgono un ruolo particolarmente utile nelle patologie reumatiche.  Le fibre contenute in frutta, verdura e cereali integrali favoriscono l’equilibrio intestinale e contribuiscono a ridurre l’infiammazione.  Gli antiossidanti presenti nei vegetali colorati e nella frutta, aiutano a contrastare lo stress ossidativo e  proteggono i tessuti.  Gli omega‑3, contenuti nel pesce azzurro o in alcuni integratori, modulano le risposte infiammatorie e possono migliorare la sintomatologia dolorosa. Linee guida generali Per favorire la salute articolare e il benessere generale si consiglia di: ● privilegiare alimenti freschi e poco processati;● aumentare il consumo di legumi, frutta secca e olio extravergine di oliva;● limitare zuccheri semplici, grassi saturi e prodotti ultraprocessati. Queste scelte alimentari, se mantenute nel tempo, possono offrire benefici concreti in termini di riduzione dell’infiammazione e miglioramento della qualità di vita. Conclusione e invito Una corretta alimentazione rappresenta un supporto fondamentale per chi convive con una malattia reumatica. Non sostituisce le terapie farmacologiche, ma le affianca in modo sinergico, contribuendo a ridurre l’infiammazione e a migliorare la risposta terapeutica.   Per ricevere indicazioni più dettagliate e un piano alimentare adeguato alle proprie condizioni cliniche è possibile richiedere una consulenza nutrizionale presso l’Aventino Medical Group a Roma. 👉 Prenota una visita nutrizionale per approfondire questo percorso.

affrontare una malattia reumatica
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Affrontare una malattia reumatica: perché il supporto psicologico è fondamentale

Di Dr. John Lawrence Dennis, Psicologo – Aventino Medical Group, Roma Più della sola sofferenza fisica Quando incontro una persona a cui è stata appena diagnosticata una malattia reumatica, vedo spesso molto più del dolore fisico. Sta avvenendo un cambiamento profondo: un peso invisibile che si posa mentre inizia a immaginare un futuro diverso. Non si tratta solo di sintomi o di piani terapeutici. Si tratta di identità, relazioni, abitudini quotidiane e di un orizzonte incerto. L’impatto emotivo di una diagnosi Come psicologo, ho imparato quanto profondamente una diagnosi possa scuotere una persona. Può portare sollievo — finalmente si comprende cosa stava accadendo — ma anche paura, tristezza e ansia. Questo insieme di emozioni è del tutto umano. Ed è proprio per questo che il supporto psicologico dovrebbe far parte del percorso di cura fin dall’inizio. Creare uno spazio per elaborare le emozioni Nel mio lavoro aiuto le persone a trovare uno spazio in cui esprimere queste emozioni. Parlare apertamente, senza giudizio, può prevenire che il disagio emotivo prenda il sopravvento in silenzio. È anche il primo passo per recuperare un senso di controllo sulla propria vita. Costruire strategie di coping Insieme sviluppiamo strategie di coping realistiche e adatte alla vita di ciascuno. Tecniche di gestione dello stress, ristrutturazione cognitiva, mindfulness, e persino attività semplici come scrivere un diario o riscoprire momenti di gioia: questi piccoli strumenti, nel tempo, costruiscono resilienza. Strumenti pratici che aiutano Ecco alcune delle pratiche che propongo spesso: Salute emotiva e fisica sono intrecciate Vorrei che tutti sapessero questo: la salute emotiva e quella fisica non sono separate. Quando ci prendiamo cura dell’una, influenziamo anche l’altra. Lo stress cronico può peggiorare l’infiammazione e il dolore. La depressione può rendere più difficile seguire le cure. Ma con il giusto supporto, spesso le persone diventano più motivate, più consapevoli dei propri bisogni e più costanti nel seguire il trattamento. Un cammino verso la speranza e la guarigione Vivere con una malattia reumatica non è facile. Ma non significa vivere senza speranza o senza direzione. Il supporto psicologico non fa sparire la malattia, ma può trasformare il modo in cui la si affronta. Può aiutarti a sentirti di nuovo te stesso.E per me, questo è il vero significato di guarigione. 

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Lesione renale in Africa: come eseguire la dialisi e salvare vite senza mezzi né strutture dedicate

A cura del Dott. Stefano Picca, nefrologo presso l’Aventino Medical Group, Roma Quando i reni si ammalano e smettono di funzionare, la vita è in pericolo. Non tutte le malattie renali sono irreversibili (Malattia Renale Cronica – CKD). Quando la lesione renale è reversibile (Lesione Renale Acuta – AKI), spesso è necessario sostituire temporaneamente la funzione renale con la dialisi (depurazione del sangue) in attesa del recupero. La dialisi può essere effettuata prelevando il sangue da un vaso del paziente e facendolo passare in una macchina che lo “pulisce” (emodialisi) oppure attraverso un catetere posizionato nell’addome tra le anse intestinali. L’addome viene periodicamente riempito e svuotato con una soluzione sterile che depura il sangue che circola nella cavità addominale (dialisi peritoneale – PD). Quest’ultima è più semplice da realizzare, comporta costi inferiori ed è la modalità di dialisi raccomandata nei Paesi a basso reddito. Un incontro determinante Nel 2013 ebbi l’occasione di incontrare, durante una conferenza, la professoressa Mignon McCulloch, responsabile del Dipartimento di Nefrologia Pediatrica del Red Cross Children’s Hospital di Città del Capo, Sudafrica. Dirigeva (e dirige tuttora) il più grande programma educativo per la diagnosi e la terapia della LRA pediatrica con dialisi in Africa. Io provenivo da un’esperienza maturata in un contesto “ad alta tecnologia” presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, circondato da macchinari sofisticati, apparecchi elettronici all’avanguardia e numerosi collaboratori specializzati. Rimasi semplicemente sbalordito quando ascoltai la domanda: «Come puoi salvare dalla morte un paziente con LRA quando non hai il materiale, né personale formato e pochissimo tempo a disposizione?» Mi sembrò la sfida più grande in assoluto. Con il suo patrocinio sono diventato Educational Ambassador dell’ISN e ho iniziato a recarmi in Paesi africani francofoni e anglofoni per insegnare la PD. L’iniziativa “Saving Young Lives” Questa attività di formazione rientra nell’iniziativa Saving Young Lives (SYL) dell’ISN. Consiste nell’adattare materiali non specifici alla PD e formare medici e infermieri inesperti alla sua applicazione. Ad esempio: Un’esperienza arricchente Circa 200 tra medici e infermieri sono stati formati durante la mia attività in Sudafrica, Costa d’Avorio, Senegal, Gabon, Algeria e Camerun.Al di fuori dell’Africa, sono stato invitato anche in Haiti e in India. Su un piano personale: ho avuto una lunga carriera, ricca di soddisfazioni, ma senza dubbio questa è stata la scelta più gratificante della mia intera vita lavorativa. Risultati I medici e gli infermieri formati dal programma SYL hanno trattato più di 500 pazienti utilizzando la PD, raggiungendo un tasso di sopravvivenza del 65%. «Un catetere può salvare una vita.»

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Solidarietà interreligiosa

A cura del Dott. Nico Naumann, ginecologo presso l’Aventino Medical Group, Roma Una vocazione medica al servizio delle donne In qualità di medico specializzato in problematiche di fertilità, nel corso della mia carriera ho deciso di mettere la mia esperienza a disposizione di donne e bambini nei paesi in via di sviluppo. Il mio lavoro con diverse ONG mi ha portato in Etiopia e in Sierra Leone come ginecologo e ostetrico, oltre ad assistere pazienti a Roma fornendo cure ginecologiche essenziali. Ho trattato casi che andavano dall’HIV in donne in gravidanza alla tubercolosi causa d’infertilità, fino a vittime di mutilazioni genitali femminili, sia in Italia che all’estero. Destinazione Libano: una chiamata naturale Non mi ha quindi sorpreso quando un collega mi ha chiesto di unirmi all’ONG italiana Second Generation Aid (SGA), attiva in Libano, per sostenere i loro sforzi in questo paese complesso ma affascinante, situato proprio nel cuore del turbolento Levante. Crisi continua, bisogno costante Considerate le crisi politiche apparentemente senza fine in Libano e la continua pressione proveniente dalle ostilità dei paesi vicini, la popolazione libanese ha un disperato bisogno di assistenza medica, medici specializzati e farmaci. La nostra missione prevedeva visite mediche, consulenze ai pazienti e distribuzione di medicinali attraverso una rete di monasteri e scuole. Ero impaziente di partire per questa parte del mondo così intrigante e di fare la mia parte per contribuire agli sforzi umanitari. In viaggio: una missione sostenuta dalla logistica e dall’impegno Così lo scorso aprile sono partito da Roma con una squadra di medici, tra cui un oculista, un dermatologo, un farmacista e un fisioterapista, diretti a Beirut per conto di Second Generation Aid. Ad accoglierci c’era George, il nostro autista, che è stato anche la nostra guida e guardia del corpo durante tutta la missione. La prima tappa è stata il Santuario di San Charbel, patrono del Libano. Due giorni dopo siamo saliti a nord, in una scuola gestita da suore cattoliche, e così via, cambiando località ogni due o tre giorni e visitando ogni volta da 40 a 60 pazienti. SGA aveva fatto arrivare in anticipo medicinali e strumenti essenziali come un’ecografia portatile, grazie al coordinamento con il ramo italiano dell’UNIFIL, il contingente ONU operativo nella zona cuscinetto tra Israele e Libano. Un paese diviso, un popolo da curare È noto che il Libano è un crogiolo ricco di popoli provenienti da ogni estrazione sociale: una moltitudine di religioni, sette e classi convivono nel suo territorio. Purtroppo, questa straordinaria diversità è spesso messa in ombra da chi detiene o ambisce al potere e cerca di dividere questo caleidoscopio umano in fazioni in guerra, per meri giochi politici. Per noi operatori sul campo, ogni persona merita dignità e cure. Oltre le fedi: la forza della solidarietà locale Ci siamo affidati alla comunità cristiana libanese – in particolare alle chiese maronita e cattolica – per raggiungere i pazienti da visitare. Hanno percorso il territorio portandoci persone di ogni confessione: sciiti, sunniti, ortodossi, protestanti, drusi e alawiti. È stata una dimostrazione concreta del ricco mosaico del popolo libanese – e della nostra umanità condivisa – di come guerre, turbolenze e conflitti colpiscano tutti allo stesso modo, indipendentemente dalla religione. Medicina sul campo: quando i sintomi riflettono la minaccia costante Come ginecologo, ho visitato pazienti con disturbi e malattie molto diversi: da problemi digestivi e coliti, a irregolarità mestruali e infertilità, da malattie della pelle a patologie del sistema circolatorio, fino a giovani con ipertensione. Ma ciò che avevano in comune erano gli effetti fisici di una vita vissuta sotto la costante minaccia dei bombardamenti e della morte. Ascoltare per curare: trattare più del corpo Un ulteriore peso psicologico era rappresentato dalla preoccupazione per i propri figli. Il nostro team era preparato ad ascoltare con attenzione, per dimostrare a queste persone che non erano state dimenticate. Una lezione dal Libano: la convivenza è possibile Ciò che mi ha colpito di più nella mia esperienza attraverso il Libano, osservando questo intreccio di etnie e vissuti che si incontrano (compresi i più recenti rifugiati palestinesi e siriani), è stato il senso profondo della capacità della popolazione di vivere pacificamente insieme. Fede e accoglienza nella pratica quotidiana In più occasioni ho incontrato musulmani che si integravano attivamente in una comunità cristiana dominante – e viceversa. Molti religiosi mi hanno confermato con orgoglio la loro determinazione a tenere le porte aperte ai più bisognosi. Alcuni di loro visitavano regolarmente campi profughi siriani per offrire supporto materiale ed emotivo. Un faro al confine: la scuola di suor Beatrice Un cenno speciale va alla scuola nel nord, al confine con la Siria. Fondata e gestita da suore cattoliche sotto la guida carismatica di suor Beatrice, originaria di Cipro, la scuola è nata negli anni ’80, inizialmente affittando alcune stanze per fare lezione. Oggi accoglie circa 500 bambini, dall’asilo ai 15 anni, con insegnamento in arabo, inglese e francese. Inoltre, ospita 50 bambini con disabilità, che imparano anche a cucinare, coltivare l’orto e diventare autonomi. Ripartire con gratitudine, tornare con uno scopo Alla fine della missione ho sentito che i nostri sforzi erano stati accolti con gratitudine, e sono tornato a Roma sapendo di aver alleviato, almeno per un po’, la sofferenza di alcune persone. Ma per ogni paziente che abbiamo assistito, sapevo che ce n’era un altro che avrebbe avuto bisogno di un intervento chirurgico in un moderno ospedale, cosa non disponibile per molti di loro. Un impegno rinnovato dalla speranza dei genitori Intendo continuare a fare volontariato con Second Generation Aid, con l’obiettivo di tornare due o tre volte l’anno, risorse permettendo. Avere ricevuto la chiamata per aiutare in Libano è stato un grande onore, ma sono stati quei genitori – o futuri genitori – che, nonostante tutto, guardano con speranza alla crescita dei propri figli e a un futuro di pace per sé, le loro famiglie e il loro paese, a donarmi un profondo senso di fiducia nel futuro.

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Una promessa mantenuta: casualità e semplici coincidenze?

A cura del Dott. Giuseppe Martinelli, ginecologo presso l’Aventino Medical Group, Roma  Quando il frate dell’Ordine dei Vincenziani ci sposò, Giulia ed io, promettemmo di dedicare parte del nostro tempo e della nostra professione alle Opere gestite dal loro Ordine. L’occasione arrivò qualche mese dopo che avevo concluso il mio lavoro in ospedale, con la risoluzione unilaterale del contratto. L’invito inaspettato L’amica pugliese di mia moglie, suora Vincenziana e responsabile della Caritas in Albania, che d’estate veniva spesso a rinfrescarsi nelle colline lucane, alla notizia della mia nuova disponibilità colse subito l’occasione. Mi propose di raggiungerla in Albania, nella provincia di Elbasan, dove dirigeva una casa famiglia a Mollas e un centro di accoglienza per adolescenti a Cerrik. Lì, tante donne non avevano alcun accesso alla prevenzione o a un’assistenza ginecologica: non si controllavano da anni. Una giovane donna in cerca di aiuto Fu in quel contesto che mi chiesero di occuparmi di una giovane ragazza che collaborava con le suore nella gestione della casa famiglia, che ancora oggi accoglie una dozzina di bambini abbandonati.La ragazza desiderava ardentemente una gravidanza, ma aveva già vissuto almeno due aborti spontanei tardivi. La visita ginecologica sembrava normale, ma grazie all’ecografia — effettuata con un apparecchio portato dall’Italia e rimesso in funzione grazie al Rotary del Distretto Puglia e Basilicata — emerse la causa: un setto uterino che dimezzava la cavità e impediva una gravidanza a termine. Una soluzione possibile L’unica possibilità era la rimozione del setto, un intervento di metroplastica in resettoscopia isteroscopica, da eseguire in anestesia generale con tecnica mini-invasiva. Era necessario trovare una clinica attrezzata, con sala operatoria, strumentazione adeguata e personale preparato: non semplice in Albania, né economicamente accessibile. La clinica, la partenza, l’intervento Grazie alla provvidenza delle suore — e alla tenacia della paziente— fu trovata una clinica privata disposta a sostenere i costi, a patto che fossi io l’operatore.Stabiliti i tempi e il momento migliore, partii per l’Albania. Mi occupai della preparazione preoperatoria, coordinai il personale della sala e verificai l’efficienza dello strumentario. L’intervento si svolse regolarmente e la paziente fu dimessa nel pomeriggio stesso, dopo poche ore di osservazione. I controlli e l’attesa Seguì un periodo di controlli a distanza, mediati dalle suore, con la raccomandazione di attendere prima di cercare una nuova gravidanza. Dopo qualche mese, il ciclo si normalizzò e i sintomi si attenuarono già dal primo ciclo.Le visite ginecologiche ed ecografiche, regolari ogni trimestre, confermarono che finalmente era possibile concepire. Una nuova vita L’attesa fu breve. La paura che la gravidanza potesse finire come le precedenti era grande, ma le cure, le attenzioni — e la volontà del Signore — permisero di arrivare fino al settimo mese.Nel frattempo, la paziente si era trasferita in Grecia con il marito. Fu ricoverata in ospedale e diede alla luce una bambina, prematura ma viva e vitale, che ancora oggi riempie di gioia la loro casa. Il 2 settembre 2023 suor Camilla mi scrisse:«Ciao Beppe, Bona mi ha mandato questo messaggio, sono felicissima. Grazie a te per la tua professionalità.»E il messaggio della giovane donna diceva:«Buongiorno Mater Camilla! Ieri ho dato alla luce una bambina. Sto molto bene. Grazie mille! Grazie a voi oggi sono MADRE!» Coincidenze… o amore per il proprio lavoro? Casualità o semplici coincidenze? Forse. Ma anche un po’ di determinazione e tanto amore per il proprio lavoro, che rappresentano il compenso più autentico e gratificante per il tempo dedicato agli altri. Una missione che continua La collaborazione con la casa famiglia prosegue. Ora siamo in tre medici a recarci periodicamente in Albania: mia moglie Giulia, endocrinologa e internista; l’amico pediatra Giuseppe, che tutti chiamano Pino; e io, ginecologo. OGNI VOLTA CHE ANDIAMO, È UNA FESTA! Un modo semplice e concreto di mettere la nostra professione al servizio di chi ne ha più bisogno.

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“Missione bagno”: perché l’intestino si blocca in vacanza? 

A cura della Dott.ssa Valeria Gianfreda, Chirurga colonproctologica e del pavimento pelvico – Aventino Medical Group, Roma Quando la vacanza manda l’intestino in tilt Nuovi orari, letti diversi, clima caldo, meno privacy… e l’intestino si ribella. Molte persone sperimentano in vacanza un rallentamento del transito intestinale, con gonfiore, pesantezza e difficoltà a evacuare. Sono disturbi comuni, ma ancora troppo spesso sottovalutati. Anche chi a casa è regolare può sentirsi improvvisamente “bloccato” dopo pochi giorni di viaggio.  Cosa cambia davvero in viaggio? I fattori che incidono sono numerosi: ● La dieta da hotel, spesso ricca di proteine e povera di fibre● La riduzione dell’attività fisica● L’alterazione del ritmo sonno-veglia● La disidratazione, soprattutto in estate● E anche l’imbarazzo ad andare in bagno fuori casa Tutti questi elementi rallentano la peristalsi, cioè i movimenti naturali dell’intestino che favoriscono l’evacuazione. Il tabù da superare: come andiamo in bagno Se parlare di intestino è ancora un tabù, affrontare come si evacua lo è ancora di più. Eppure postura, tempi e forma delle feci sono segnali chiave del nostro benessere. Superare l’imbarazzo e imparare ad ascoltarli può davvero fare la differenza. Postura, tempi e abitudini: come si va davvero in bagno? Anche il modo in cui si evacua conta. La postura classica sul water – seduti a 90° – non è la più fisiologica. In posizione accovacciata, l’angolo tra retto e ano si raddrizza, facilitando il passaggio delle feci. Un piccolo sgabello sotto i piedi, che sollevi le ginocchia, aiuta a ricreare questa condizione, riducendo lo sforzo e prevenendo stipsi ed emorroidi. Altro aspetto fondamentale è il tempo: non bisogna trattenere lo stimolo, ma nemmeno passare troppo tempo seduti, magari leggendo o con il telefono in mano. L’evacuazione è un atto riflesso e coordinato, che va rispettato nei tempi giusti. Non ignorare i segnali: guarda dentro il water Osservare le feci è un gesto semplice ma spesso evitato. La Scala di Bristol, utilizzata in medicina, aiuta a classificare le feci in base alla loro forma e consistenza: ● Tipo 1-2: palline dure e segmenti secchi → segno di stipsi● Tipo 3-4: forma allungata e liscia → transito regolare● Tipo 5-6: frammenti morbidi o pastosi → transito accelerato● Tipo 7: liquide → diarrea o infezione Un cambiamento occasionale può essere normale. Ma se le alterazioni persistono o si associano a dolore, sangue o calo di peso, serve una valutazione specialistica. Come aiutare l’intestino a viaggiare con te Per evitare di “bloccarsi” in vacanza, è utile seguire alcune regole semplici ma ben fondate: ● Bere almeno 1,5–2 litri di acqua al giorno, aumentando in caso di caldo o attività fisica.● Assumere quotidianamente 25–30 grammi di fibre, combinando fibre solubili (avena, frutta, legumi) e insolubili (verdure a foglia, crusca, cereali integrali).● Muoversi ogni giorno: anche una passeggiata di 20–30 minuti stimola la peristalsi intestinale.● Rispettare i propri ritmi fisiologici, dedicando al mattino tempo per la colazione… e per andare in bagno, senza fretta né distrazioni. Nei casi in cui la regolarità non si ristabilisca spontaneamente, può essere utile ricorrere a: ● Fermenti lattici con ceppi specifici, come Lactobacillus rhamnosus GG, Bifidobacterium lactis o Saccharomyces boulardii, efficaci nel modulare la flora intestinale e ridurre il gonfiore.● Integratori di fibre che aumentano la massa fecale, come lo psyllium o l’inulina, da introdurre gradualmente e sempre con adeguata idratazione.● Blandi lassativi di tipo meccanico-lubrificante, come l’olio di vasellina. Si sconsiglia invece l’uso prolungato di lassativi osmotici, poiché possono disabituare l’intestino alla defecazione fisiologica. Queste strategie aiutano a mantenere la regolarità anche lontano da casa, evitando che una vacanza si trasformi in un disagio intestinale. Quando serve una valutazione specialistica Se la stitichezza persiste per oltre tre settimane, si presenta ciclicamente o interferisce con la qualità della vita, è consigliabile sottoporsi a una valutazione specialistica. Le linee guida della European Society of Coloproctology (ESCP), del National Institute for Health and Care Excellence (NICE) e della World Gastroenterology Organisation (WGO) raccomandano un approfondimento clinico in presenza di sintomi persistenti o associati. Tra i sintomi e segni di una possibile patologia: ● Prolasso emorroidale e/o associato a prolasso rettale interno o esterno● Sindrome da ostruita defecazione, che si manifesta come sensazione di evacuazione incompleta e frammentata● Dolori addominali di tipo colico a poussée Tra gli esami diagnostici possibili: Oltre alla visita colonproctologica, ecografia transanale, manometria anorettale e colonscopia, si può includere anche la RX defecografia dinamica. Una valutazione accurata consente non solo di escludere patologie, ma anche di personalizzare le terapie e migliorare la funzionalità intestinale nel lungo periodo. Segnali da non ignorare – secondo le linee guida ESCP e NICE Se compaiono uno o più di questi sintomi, è raccomandata una visita specialistica: ● Stitichezza persistente oltre le 3 settimane● Sensazione di evacuazione incompleta o blocco rettale● Sanguinamento anale ricorrente o sangue mischiato a feci● Calo ponderale involontario● Dolore addominale ricorrente● Familiarità per tumore del colon-retto o malattie infiammatorie intestinali● Alternanza tra stitichezza e diarrea L’intestino non va in ferie: ascoltalo Curare l’intestino significa migliorare la qualità della vita. Anche in vacanza, è possibile rispettare i propri ritmi, adottare piccole accortezze e – perché no – imparare qualcosa in più sul proprio corpo. Parlare di feci non deve essere un tabù: è un segnale di attenzione verso la propria salute.Chirurgia colonproctologica e pelvica – Aventino Medical Group